Chi è quest’uomo dai capelli bianchi e gli occhi ridenti, dai modi raffinati e dall’aspetto così fragile? E' un papa che non teme in alcun modo il confronto col suo predecessore. Non lo imita in nulla. Sebbene tra i due pontificati esista una strettissima continuità ideale e dottrinale, le maniere dei due Successori di Pietro restano, per questioni di carattere, molto differenti. Giovanni Paolo II non camminava, incedeva solenne. Benedetto XVI si muove con passi svelti ed aggraziati. Giovanni Paolo II dominava la scena. Benedetto XVI cura di spostare l’attenzione a qualcosa che è al di là di se stesso. Non ha la grandiosa forza dei gesti, l'imponenza scenica del polacco, ma si esprime con gesti timidi e compunti, il suo portamento è quasi regale. E’ un Papa che ci ha abituati a più rigore di forma e dottrina e ci ha costretti ad abbandonare letture ingenue e frettolose della sua pastorale. Benedetto XVI svela tutta la sua grandezza nel leggerlo, nel seguirlo in ciò che fa e dice. Una figura enigmatica, chiusa in una dimensione del e fuori dal mondo, quasi shakspiriana, decisamente più ricca di sfumature e potenzialità di quanto ci si potesse aspettare. Un pontefice incompreso, non accettato, addirittura ripudiato da quella maggioranza di credenti, cattolici per battesimo, ma non per convinzione e passione, desiderosi di vedere nel pontefice solo l’immagine di un pio e simpatico nonnino, e non quella dell’ineccepibile teologo, della saggia guida morale, del gigante intellettuale. Indifferenti al Papa, perché sordi e disinteressati alla religione. Ma alla schiera dell’indifferenza, c’è poi quella tremendamente ostile a Benedetto XVI. Il motivo? E’ molto semplice: questo Papa ha dissolto in maniera drastica, quasi brutale, il sogno che la Chiesa potesse essere assorbita dalla logica del mondo, e infine ridotta a insignificante agenzia filantropica, a pura e semplice associazione umanitaria dedita esclusivamente alle attività benefiche, sorda e muta a tutto il resto. Alla faccia dei tanti laicisti che volevano la religione estirpata dalla società, rinchiusa nel buio delle chiese, Joseph Ratzinger ha urlato al mondo che il Cattolicesimo non è, come le religioni orientali, una filosofia astratta che si esaurisce nella coscienza dell’individuo, ma una religione rivoluzionaria che vuole essere attiva e presente, che vede nella società civile e le sue dimensioni e il proprio terreno di gioco, al fine di rendersi a tutti manifesta come “faro delle genti”. E nel perseguire questo scopo Ratzinger non parla solo col linguaggio del teologo o del Pontefice della Chiesa di Roma, ma anche con quello del professore, ricorrendo a delle analisi così lucide ed impeccabili, da aver suscitato fin da subito l’ammirazione e l’ interesse degli intellettuali del mondo intero. Benedetto XVI si è dimostrato un papa pericoloso, scomodissimo come una spina nel fianco. Ecco perché i tantissimi che speravano di confinare il Cattolicesimo in un piccolissimo recinto, in un dimenticatoio, ora lo disprezzano, lo odiano più che mai. Si son visti scendere in campo un pontefice coltissimo e raffinato, umilissimo, ma dai modi aristocratici, quasi principeschi, che sa parlare di tutto ed osa parlare di tutto, e che non solo non teme il confronto con nessuno, ma lo ricerca, lanciando continue provocazioni a quella stessa cultura laicista che, messa alle strette, non riesce a controbatterlo con serie argomentazioni, ma solo con insulti, proteste fanatiche, qualunquismo, anticlericalismo da bar, e soprattutto tranelli e menzogne. Già la scelta del nome Benedetto, quello del santo patrono d’Europa, era tutto un programma. Il Papa all’occasione spiegò: “La progressiva espansione dell'ordine benedettino fondato da San Benedetto da Norcia ha esercitato un influsso enorme nella diffusione del cristianesimo in tutto il continente. Egli costituisce un fondamentale punto di riferimento per l'unità dell'Europa e un forte richiamo alle irrinunciabili radici cristiane della sua cultura e della sua civiltà”. Era chiaro: il focus di Joseph Ratzinger sarebbe stato sull’Europa, il caro vecchio continente, la terra di quelle colossali cattedrali gotiche che oggi, senza più fedeli, riescono meglio come musei che come roccaforti della fede. E Benedetto XVI così ha fatto. Da uomo che non ama girare attorno ai concetti, parla chiaro e usa mettere in pratica l’evangelico richiamo: “dite sì quando è sì, e no quando è no” (Mt, 5, 37). Accolto da troppi, all’indomani della sua designazione a Vicario di Cristo in terra, come fosse un pericoloso neo-nazista, Benedetto XVI si è presentato alla Chiesa e al mondo come una guida saggia, ragionevole e decisa. In molti tifavano – soprattutto all’interno della fila del “progressismo cattolico” – per un pontificato che durasse da Natale a Santo Stefano, eppure Ratzinger resiste. E il suo Magistero sta incidendo profondamente nella storia della Chiesa cattolica e del mondo. In piena continuità con gli sforzi evangelici del suo grande predecessore Giovanni Paolo II, il Papa tedesco ha lavorato per riportare la Chiesa cattolica ad essere una protagonista non silente del nostro tempo. Il cristianesimo di Benedetto XVI non ha nulla a che vedere con un certo irenismo di stampo borghese: Ratzinger ha insegnato al mondo intero che è disposto a pagare in prima persona pur di affermare tutto quello che pensa, fino in fondo. E a dispetto di una certa apparenza fragile e timida, il pontefice non indietreggia mai di un solo passo. Ha dimostrato di essere del tutto indifferente alla ricerca di popolarità, interessato a perseguire con tutte le sue energie la verità. Quella che vuole Benedetto XVI non è una Chiesa che segua le mode dei nostri giorni: il Papa vuole che i cristiani rialzino la testa e, riscoprendo le radici profonde della loro identità, sappiano testimoniare Gesù nel mondo moderno, senza vergognarsi di mostrare quella fede oggi vissuta con vergogna, imbarazzo e disagio. L’ambiente in cui, oggi, i cristiani si trovano a vivere ed a operare è un contesto difficile, irto di pericoli e pieno di odio laicista: ovunque, anche all’interno della stessa Chiesa cattolica, c’è troppa “sporcizia” che rema contro il progetto di Dio. Troppo spesso le posizioni dei più incalliti atei militanti impallidiscono davanti alle bestialità assurde proposte da certi uomini ecclesiastici, alcuni troppo impegnati a piacere al mondo contemporaneo, altri attenti nell’indossare ridicolamente le vesti di arcigni inquisitori. Laicità, manipolazione genetica, aborto, eutanasia, etica, famiglia: Benedetto XVI su questi punti non si è mai piegato ai diktat del “politicamente corretto” e ha sempre detto tutto quello che era giusto dire. Il pontificato di Joseph Ratzinger è complesso. Nella via Crucis del 2005 aveva dichiarato al mondo l’urgenza di “fare pulizia all’interno della Chiesa”. Le indagini avviate dal Papa per scovare il male, le celebri norme antiriciclaggio per lo Ior, le severissime norme per combattere la pedofilia, sono solo un esempio della silenziosa rivoluzione in corso; ma il pontefice è prima di tutto un professore alla ricerca di dialogo. Fecondissimo è quello con le altre Chiese cristiane al fine della grande riunificazione, prezioso quello con gli scienziati sul rapporto tra fede e scienza, singolare e brillante quello avviato con atei ed agnostici nel “Cortile dei gentili”. Benedetto XVI non si è scordato neppure dello splendido patrimonio culturale del Cattolicesimo, invitando alla riscoperta del sublime canto gregoriano, e concedendo la possibilità di celebrare la messa con rito tridentino, quella in latino per intenderci, la magnifica e solenne lingua universale della Chiesa su cui si è costruita la liturgia di due millenni di storia. Da fine intellettuale qual è, la vera guerra del Papa resta però quella contro il relativismo, il dominante pensiero odierno che nega ogni verità assoluta ed oggettiva, un’ideologia che considera la morale come puramente convenzionale, figlia del proprio tempo e suscettibile alle idee di ognuno. Contro questa visione, Benedetto XVI ha apposto gli immutabili principi evangelici, ponendo così il magistero della Chiesa come il più inespugnabile baluardo contro questa dittatura del relativismo che, negando ogni punto di riferimento, ha come sua logica conseguenza il regno dell’anarchia morale e del nichilismo. Sebbene sia solo l’inizio, l’attuale contesto sociale, specie giovanile, dà trionfalmente ragione a Benedetto XVI. Smarrita la fede e i suoi valori, la società è dominata dal materialismo in tutte le sue dimensioni. Estromesso dall’orizzonte dell’uomo Dio e la vita ultraterrena, si è visto l’essere umano incatenarsi al fango delle miserie terrene, alla sola ricerca dei nuovi idoli del denaro, la lussuria, i piaceri, la smania di affermarsi nella carriera come in una lotta selvaggia, quella che Hobbes definiva “la guerra di tutti contro tutti”. La precaria fugacità di questi "dei falsi e bugiardi" ha poi lasciato dietro di sé una spirale di mediocrità umana, infelicità, depressioni, divorzi, distruzione della famiglia tradizionale e un esasperato sessismo. E’ questo che ha gridato al mondo Benedetto XVI, ed è per questo che lo sbranano. Il teologo tedesco si oppone ad una degenerazione etica e culturale mascherata sinistramente col termine di progresso; della posizione papale ne sarebbe entusiasta il celebre poeta e scrittore inglese Gilbert Keith Chesterton che già ai primi del Novecento affermava che “La Chiesa Cattolica è l’unica in grado di salvare l’uomo da una schiavitù degradante, quella di essere figlio del suo tempo”. Come ha scritto l’autorevole storico Ernesto Galli della Loggia: “Joseph Ratzinger è principalmente un testimone della nostra drammatica epocalità, l'uomo consapevole che, nella vampa infuocata dei tempi, interi universi storici, interi mondi antropologici e culturali che per secoli ci hanno plasmato, minacciano di venire annientati e di scomparire; e sente che, lungi dal corrispondere a un qualsiasi progresso, ciò apre solo la strada verso il nulla”. Ecco, la Chiesa vive momenti di tremende difficoltà, non solo esogeni, ma soprattutto endogeni: il Cattolicesimo sembra contare un esercito di oltre un miliardo di battezzati del tutto alieni a qualsiasi interesse religioso, che vivono come se Dio non l'avessero mai conosciuto. Benedetto XVI ha denunciato a voce grossa la banalità di questo modo di vivere la fede cristiana, avvertendo che accanto al credente tradizionale si sta sviluppando un nuovo modo di credere, che si muove alla periferia delle religioni senza identificarsi realmente con nessuna di esse. Si cerca una religione, e quindi un Dio, a propria immagine e somiglianza, che risponda alla propria sensibilità formando una sorta di collage autonomo e personale. Non si partecipa alla Messa, non ci si sente parte della Chiesa, non si legge il Vangelo, le Sacre Scritture, i testi ecclesiastici, non si conosce quindi la dottrina cristiana. San Girolamo diceva in merito che "ignorare le Scritture equivale ad ignorare Cristo". Si sbandiera il male presente in seno alla Chiesa come il legittimo pretesto per rifiutarla, ignorando che nel Vangelo il male nell’ovile di Dio è già tutta predetto, e mentre da un lato lo si annuncia e se ne mette in guardia, dall’altro si raccomanda di stringersi ancor di più intorno a quello che San Paolo chiama Corpo di Cristo, cioè la Chiesa stessa. Sono i segni della ricerca di un Dio personale, fatto a proprio uso e consumo, un dio-vestitino, cucito apposta da noi e a nostra misura, secondo le nostre idee e concezioni personali. Non si crede più nel Dio delle Scritture, ma nell’idea che di Dio ci siamo fabbricati. Si crede che l’ideale cristiano si esaurisca nel “non far male agli altri e nel comportarsi bene”, e che basti questo per piacere a Dio. Sarebbe sufficiente leggere già solo uno dei quattro Vangeli per provocare in questa tipologia di credenti una totale crisi di coscienza fino a piangere e disperarsi; ma non è il caso di parlarne. E’ questo che ha dichiarato Benedetto XVI, che ha poi difeso il credente tradizionale, quasi del tutto scomparso, riflettendo su come «Chi ha una fede chiara, veritiera, secondo il credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalista, ottuso, bigotto, mentre il relativista, colui che si costruisce una fede tutta personale, senza disciplina, accettando ciò che vi può essere di comodo e respingendo ciò che invece può risultare scomodo, va bene. La dittatura del relativismo ha come misura il proprio io e le sue voglie». Il Papa individua il nocciolo della questione e spiega, col cuore in mano, che «la fede non si conserva di per sé e ogni battezzato ha il dovere di annunciare la Parola di Dio». Quello del Papa è un atto di implorazione e sottomissione. Consapevole dell’insufficienza e delle deficienze del clero, quello del Pontefice è l’invito che Cristo stesso ha rivolto al popolo credente: impugnare il Vangelo e convertire il mondo. Non a caso è da quando al credente tradizionale è subentrato quello superficiale, da quando i cristiani hanno dimenticato la loro vocazione più naturale, che si è aperta la crisi più rovinosa della religione: un’emorragia lenta e silenziosa, un Popolo di Dio che non c’è più, l’imperare delle correnti dominanti del materialismo, dell’agnosticismo, dell’ateismo, dell’anticlericalismo. E così il Cristianesimo si sta ritirando dalla società come una bassa marea, mentre le chiese, come i seminari, sono ogni anno più vuote. I valori cristiani sono stati rinnegati e scordati, repentinamente soppiantati dai nuovi idoli. Sembrano, con leggero ritardo, essersi avverate le parole del più acerrimo nemico del Cristianesimo, il filosofo Friedrich Nietzsche, quando diceva che «La Chiesa è questa società al tramonto: vediamo la società religiosa del Cristianesimo scossa fin dall’infimo delle sue fondamenta, la fede in Dio è crollata, la fede dell’ideale ascetico-cristiano combatte la sua ultima battaglia». Eppure Benedetto XVI - cosciente della delicatezza di questi nostri tempi – insiste, instancabile, nell’indicare alla Cristianità e al mondo intero che la Chiesa è «la grande paladina di una sana ed alta tradizione» e che «se anche in essa la zizzania è molta, anche se la rete contiene pesci scadenti, cattivi, essa è stata fondata da Cristo, da Egli è sorretta e Sua rimane». In virtù di ciò, dovere dei cattolici è restare sempre fedeli al Papa, adottando quel motto che recita "cum Petro et sub Petro", memori di quelle parole di Gesù, salde come incise nella roccia, che dichiaravano: "Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell'Inferno non prevarranno contro di essa. E a te darò le chiavi del Regno dei Cieli; e ciò che legherai sulla terra, resterà legato nei cieli, e ciò che scioglierai sulla terra, sarà sciolto nei cieli" (Matteo 16:16-18). Che mai si dimentichi quando Benedetto XVI, alla sua prima messa di pontificato, disse, con delle parole che destarono scalpore e che all’immediato non furono comprese da nessuno: “Non lasciatemi solo, pregate per me, perché io non fugga per paura dinanzi ai lupi”. A distanza di poco tempo, tutti -o quasi- avrebbero capito a cosa si riferiva, cosa lo avrebbe atteso.
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