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mercoledì 21 giugno 2017

Lo Sapevate Che: Per parlare con un teen-ager cogli l'attimo...



Mio Figlio Maggiore ha 14 anni. Da fuori sembra uno solo, seppur ingombrante con quelle spalle larghe, quei piedi lunghi, quell’incedere spavaldo e scomposto. Invece lì. Dentro quel singolo adolescente, ce ne sono almeno altri 100: bambino, uomo, cavaliere selvaggio, pigro, iperattivo, incosciente, saggio, geniale, fessacchiotto e molti altri. Succede così a tutti, pare. Allora cerco di godermi il terrificante e sublime spettacolo della sua frenetica metamorfosi. Si impara moltissimo da un figlio adolescente. Perché richiede accoglienza ma anche distanza e attenzione e funambolismo e tolleranza e fermezza e pazienza e tenerezza e nervi saldi. L’adolescenza del figlio è una corsa in ottovolante accanto a un tizio che vorrebbe ora gettarsi di sotto, ora buttarti di sotto, ora tenerti stretta. Eppure, ogni tanto, tra uno sguardo in cagnesco, un moto di insofferenza e una dichiarazione indipendentista, ci sono sprazzi luminosi e occasioni preziose. Forse il talento di un genitore sta proprio nella capacità di infilarsi negli spiragli lasciati aperti, nella rapidità di reazione al cospetto di una guardia che si abbassa. Perché è lì, nelle smagliature della loro corazza, che si può tessere la trama del loro futuro. L’altra sera ero a letto a leggere e lui, con le movenze di Arthur Fonzarelli, è entrato in camera e si è seduto accanto a me in silenzio. Eccola quella fessura di luce, l’intercapedine in cui incontrarsi. Eccolo quel momento delicatissimo in cui una parola giusta può aprire varchi, un gesto sbagliato può erigere muraglie. Così, per sapienza o vigliaccheria, ho taciuto. Dal suo telefonino è partita una canzone del 1970. Insolita, bizzarra, quasi stridente rispetto al rap e all’heavy metal a cui mi ha abituata: Your Song di Elton John. “Come si conquista una ragazza, mamma?”, ha domandato. Ho deglutito, conscia dell’enormità dell’interrogativo. “In che senso?”. “Se ti vuoi mettere con una tipa… Cosa devi fare? Cosa devi dire?”. In un fugace, agghiacciante momento di lucidità ho sentito l’insostenibile peso della responsabilità di dare una forma, che domani potrebbe diventare sostanza, alla seduzione. Ho percepito la densità del momento. “Io ho il dovere di crescere un uomo per bene che dica le parole giuste, scelga i gesti con cura, usi la tenerezza sia armato di rispetto e di attenzione, sappia sostenere uno sguardo ma anche abbassarlo. Io devo insegnargli tutto questo adesso. Perché chi lo sa quando mi ricapita una smagliatura così”, mi sono detta mentre Elton ripeteva “I hope you dont’t mind”, spero che non ti dispiaccia. E poi tutta questa consapevolezza si è frantumata al cospetto della mia inopportuna, solidale e lieve, divertita e regredita, provocatoria e “capa fresca”, come mi chiamava il mio papà. “Pensi di piacerle, almeno un po'?”. “Sì, credo di sì”. “Allora baciala!”, ho esclamato con l’entusiasmo di una Vispa Teresa. “Eh?” ha mugugnato lui perplesso. “Sì! Lascia stare le dichiarazioni che, a meno che tu non sia Petrarca (e possiedo alcune evidenze empiriche che lo escludono), rischiano di essere patetiche o ridicole o banali. Avvicinati, con delicatezza, e baciala! Se non gradirà te ne accorgerai subito e allora dovrai arretrare prontamente, chiedere scusa e metterci una pietra sopra”. “Sei sicura che funzioni così, mamma?”. “Non ci sono sicurezze qui. E comunque ricordati che con le ragazze devi essere rispettoso e attento e…”. “Ok, ok, mamma. Queste cose già le so. Ciao”. Elton John ha smesso di cantare, l’intercapedine si è serrata, lui si è alzato e ha lasciato la mia stanza scuotendo la testa.
Claudia de Lillo - Opinioni – Donna di La Repubblica 17 giugno 2017-

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