E Se I Medici, Ogni Tanto, Andassero A Lezione
Dai Veterinari?
Nel 1999 una strana encefalite virale colpì New York. La veterinaria Tracey Mc Namara, notando che morivano anche gli uccelli dello zoo, lo segnalò al Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie di Atlanta, ma si sentì rispondere che lì gli animali non interessavano.
Fu un errore. Se la McNamara fosse stata ascoltata si sarebbe arrivati molto prima alla diagnosi e alle terapie corrette: il patogeno misterioso era infatti il virus del Nilo occidentale, che si riconosce proprio perché colpisce sia uccelli che uomini. L’episodio, per la cardiologa Barbara Natterson-Horowitz, è emblematico della difficoltà di comunicazione tra medici e veterinari, e tutto il suo saggio Zoobiquity (Knops, pp.320. dollari 27), scritto con la giornalista Kathryn Bowers, è rivolto a provare quanto invece questa comunicazione sarebbe utile. “Ho pensato di scriverlo” racconta la Horowitz “quando venni a sapere che fissare gli animali selvatici negli occhi provoca la cardiopatia da cattura, una condizione che non conoscevo. Incuriosita, ho cercato un corrispondente nell’uomo, e l’ho trovato nel “cuore spezzato” che ci colpisce quando subiamo un lutto, un abbandono o altre forti emozioni”.
Esplorando il mondo della veterinaria, di somiglianze la Horowitz ne ha segnalate parecchie. I giaguari hanno tumori al seno per lo stesso difetto genetico che li provoca in molte donne, i Koala rischiano di essere spazzati via da una epidemia di clamidia, i rinoceronti soffrono di leucemia, i gorilla di aneurisma dell’aorta, i lemuri di disfunzione erettile da stress, il virus dell’herpes provoca guai, cancro incluso, tanto alle tartarughe marine quanto agli uomini. Le osservazioni dei veterinari potrebbero quindi essere utili anche per curare i sapiens.
Inoltre, quando si mette a punto una terapia, si potrebbe sperimentarla su animali già ammalati. Nel 1999 il veterinario Philip Bergman e l’oncologo Jedd wolchok ebbero per esempio, l’idea di provare una cura innovativa su nove cani ammalati di melanoma. Nel 2009 quel trattamento è diventato un vaccino antimelanoma per cani, ma ora si lavora alla versione umana.
Oppure si potrebbero studiare gli animali domestici per capire l’origine delle malattie che abbiamo in comune, come farà uno studio epidemiologico che dal 2012 seguirà per tutta la vita 3000 golden retriever. Meno facile è accettare che gli animali condividano con noi anche vari disturbi psichici. Eppure molte specie in cattività soffrono di sindromi ossessive-compulsive. I canguri che saccheggiano i campi di papavero da oppio in Tasmania mostrano che la dipendenza da droghe non è solo cosa nostra. Le scimpanzé, se perdono i cuccioli, cadono in depressione. E le giovani scrofe, stressate dalla vita negli allevamenti, diventano anoressiche. Forse tutto questo può dire qualcosa anche a noi.
Alex Saragosa – Venerdì di Repubblica – 10 -8- 12
Molto interessante!
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