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sabato 25 agosto 2018

Lo Sapevate Che: Diplomazia e paura nel '68 a Praga...



Il più preoccupato dei due ambasciatori pensava ai missili con testate atomiche. Quelli americani puntati sulla Cecoslovacchia dove erano diretti. L’automobile scura correva sulla strada austriaca verso la frontiera cecoslovacca con la bandiera del grande paese occidentale dispiegata- Richiamati dai rispettivi governi i due ambasciatori avevano dovuto abbandonare in gran fretta le loro famiglie in vacanza. E avevano deciso di raggiungere Praga, da Vienna, sulla stessa automobile. Nella notte tra il 20 e il 21 agosto 1968 le truppe del Patto di Varsavia, quelle russe in testa, avevano invaso la Cecoslovacchia che da alcuni mesi viveva la Primavera, un tentativo di promuovere un comunismo democratico. Ero a bordo di quella automobile super diplomatica, battente bandiera occidentale, con a bordo i due ambasciatori. Il mio ruolo, fittizio, era quella di autista di riserva. Era il solo modo in quelle prime ore dell’invasione per raggiungere Praga, dove i carri armati sovietici occupavano già piazza Venceslao. I due ambasciatori mi avevano dato generosamente un passaggio, facendomi passare per un loro dipendente. I giornalisti in quella prima fase dell’invasione non erano graditi. Gustave, chiamerò così uno degli ambasciatori, parlava della famiglia lasciata su una spiaggia mediterranea. “Ci siamo salutati in fretta con mia moglie. Il dovere lasciava poco tempo”. Salvatore, chiamerò così l’altro ambasciatore, aveva lasciato i suoi sulle Alpi. “Un bacio di fretta e via di corsa”. Raccontati i momenti della partenza precipitosa per Vienna, seguì un lungo silenzio. La strada era spesso bloccata dal traffico. Ma la nostra automobile nera si distingueva per la bandiera che incuriosiva o intimidiva. Io stavo impettito accanto all’autista in livrea. Non avevo neppure il cappello con la visiera. “Se ci fanno storie lo facciamo scendere”, disse Gustavo sottovoce a Salvatore indicandomi con un cenno della testa. Ma nessuno osò violare quell’automobile diplomatica. E io ascoltai per ore un dialogo che quel giorno di grande tensione internazionale non sembrava surreale, né grottesco come sembra oggi, e forse rifletteva in quel momento pensieri assai diffusi. Quanti credi che siano quelli puntati su Praga, Gustave? Non ne ho un’idea, ma devono essere tanti nel quadro della Nato. Americani?  Senz’altro, ma non soltanto. E molti con testate atomiche. Certo, la nostra destinazione non è delle più sicure. Può essere il primo obiettivo. Il quartiere di Malastrana, dove sono le nostre ambasciate, sulla strada del Castello, non può essere un obiettivo. È un celebre centro storico europeo. Caro Salvatore, in questa atmosfera con le truppe del Patto di Varsavia che avanzano in massa verso il confine con l’Occidente, gli obiettivi cambiano di valore. Non credi che Mosca abbia informato Washington? La diplomazia in queste ore dispone di un piccolo spazio di manovra. C’è il Viet Nam: i russi lasciano fare in Estremo Oriente e gli americani lasciano fare in Europa. Per fortuna le nostre famiglie sono al sicuro. L’Occidente non può restare passivo di fronte a un’azione di queste dimensioni. C’è il rischio di una guerra civile: Radio Praga continua a trasmettere notizie sulla riunione straordinaria del partito comunista cecoslovacco. Neppure tu, nella tua ambasciata, hai un rifugio sicuro. Nessuno ha mai pensato di crearne uno. Del resto non credo che i cecoslovacchi, sia pure per difendere la loro Primavera, siano pronti a puntare le armi contro i sovietici. Né i sovietici vogliono altri morti, oltre quelli che si contano finora. Più la conversazione avanzava e più i riferimenti a una minaccia atomica diventavano rari. Apparivano surreali. Le emozioni si raffreddavano. Ebbi l’impressione che i due ambasciatori si vergognassero di aver immaginato disastri nucleari. La notte insonne aveva contato. Arrivati al confine, i soldati cecoslovacchi salutarono la macchina che batteva bandiera occidentale. Dopo cinque chilometri incontrammo i primi carri armati sovietici. Vi furono alcuni momenti di incertezze, poi i carri armati si scostarono per lasciar passare la macchina diplomatica. Gustave disse a Salvatore che i missili della Nato si sarebbero comportati come i blindati dell’Armata rossa. Così arrivammo indisturbati a Praga dove su piazza Vinceslao, in quella drammatica giornata d’agosto del 1968 i carristi russi subivano gli insulti dei giovani di Praga. E gli ambasciatori erano ridiventati scettici come di solito uno immagina siano i diplomatici. È un innocente e drammatico ricordo di cinquant’anni fa.
Bernardo Valli – Dentro E Fuori – L’Espresso – 19 agosto 2018 -

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