Etichette

lunedì 20 agosto 2018

Lo Sapevate Che: Come reagiamo alle tragedie del Mondo?...


Dopo Aver Letto la lettera di Lorenzo (2 giugno scorso), che reagiva all’indifferenza dei suoi amici a proposito delle tragedie che accadono in Siria, mi ha consolato il fatto che non tutti i ragazzi sono indifferenti a ciò che succede di brutto attorno a noi. Io, 70enne portatrice di protesi bilaterale alle anche e prossimo intervento protesi spalla aggravata da artrite reumatoide, in guerra con una depressone subdola, spesso, quando leggo di questi conflitti interminabili, dove a soffrire sono quasi sempre i bimbi delle persone più deboli, giro la pagina e non voglio leggere niente d’altro.  Senza È indifferenza la mia? No, è autodifesa per sopravvivere e penso che tanti facciano così. Tutto questo mi fa stare male e, oltre a dare offerte ai medici senza frontiere che portano un po' di aiuto umanitario, che altro possiamo fare privatamente. Mi sembra proprio di fare come gli struzzi che nascondono la testa sotto la sabbia.  Laura Campanini campanini@gmail.com

Non ai colpevolizzi. Quando si arriva a una certa età la nostra psiche non è più in grado di reggere dosi eccessive di sofferenza: o perché si è già sofferto troppo durante la propria esistenza, o per non toccare con mano la propria impotenza a offrire un qualsiasi rimedio alla sofferenza dei disperai della terra. Ricordo mia madre che dopo aver visto le atrocità della seconda guerra mondiale, spegneva la televisione (allora in bianco e nero) quando andava in onda qualche servizio che documentava le atrocità nei campi di concentramento nazisti. “Non ce la faccio a vedere queste cose” era la sua giustificazione. Non si tratta di “indifferenza” e neppure di viltà dovuta al fatto di “nascondere come gli struzzi la testa sotto la sabbia “, ma, come lei scrive, “di autodifesa per sopravvivere”, non essendo noi così onnipotenti, soprattutto in età avanzata, per farci carico di tutti i problemi del mondo che giustamente ogni sera i telegiornali ci documentano e ci illustrano. La nostra psiche, inoltre non è in grado di reagire al mondo, ma solo al mondo “circostante quello che abitiamo da vicino, che ci sollecita, ci impegna e ci chiede di reagire. Così ad esempio se muore un nostro familiare soffriamo e talvolta piangiamo sconsolati, se muore un nostro vicino di casa facciamo le condoglianze, se un servizio televisivo ci dice che nel mondo muoiono otto bambini al secondo, questa notizia finisce per essere vissuta solamente come una terribile statistica. Non perché siamo insensibili, indifferenti o cinici, ma perché la nostra psiche non oltrepassa i confini della prossimità. Questa è anche la ragione per cui se uomini, donne e bambini muoiono per guerre e persecuzioni, per fame e per sete, nelle loro terre lontano da noi li commiseriamo e proviamo anche un sentimento di pietà, ma poi se vengono da noi e si fanno prossimi a noi commiserazione e pietà scompaiono e al loro posto subentra inquietudine, sospetto e diffidenza. Questo modo di reagire della nostra psiche denota una sorta di atrofia del nostro sentimento, che si commuove quando le tragedie sono lontano da noi ma cessa di commuoversi se i sopravvissuti a quelle tragedie arrivano da noi. Per questo è necessaria un’educazione sentimentale a partire dall’infanzia, quando si tende a nascondere ai bambini i mali, le tragedie, i lutti, dando loro una falsa lettura della realtà, e rendendoli impreparati quando la loro vita si presenta con quelle caratteristiche, e indifferenti quando queste figure negative dell’esistenza riguardano gli altri. Mi scrive renato Pierri (renpierri@gmail.com) che, in occasione di uno spettacolo dove venivano letti testi di storie vere di violenze sessuali, davanti a spettatori rimasti muti e agghiacciati fin dai primi minuti, dopo essersi chiesto perché accadono ancora nel nostro Paese queste cose tremende, ha concluso: “Forse la risposta è semplice perché la maggior parte della gente, donne comprese, è indifferente. Sono moltissimi a dire che sono cose tremende, ma pochi le sentono come cose tremende. Il femminicidio per molti è un grave problema, ma pochi lo sentono come un grave problema”. Allora se la nostra psiche è per natura limitata a quanto accade nelle nostre prossimità e la nostra partecipazione si arresta non appena si supera una certa grandezza, occorre educare il nostro sentimento e, portarlo all’altezza del mondo attuale che, con il progresso dei mezzi di comunicazione, è diventato molto più grande del mondo dei nostri nonni, e di conseguenza anche il nostro sentimento non può sottrarsi a un’adeguata possibilità di partecipazione se non vogliamo che, senza la nostra capacità di reazione, il “terribile” abbia via libera.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di La Repubblica – 4 agosto 2018 -

Nessun commento:

Posta un commento