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sabato 20 gennaio 2018

Lo Sapevate Che: Scrive Derrida: "Chi dice Io, dice sempre in un certo qual modo uno pseudonimo"...

Sembra Che Tutto, dalle antiche dottrine orientali alla psicologia occidentale moderna – come pure alcuni suoi scritti e molte sue affermazioni – conduca a una sola verità, e cioè che ‘Io, il nostro caro Io, non è altro che un’illusione per sentirci importanti, per non impazzire nell’autocoscienza di dovere morir senza senso. In realtà, come lei stesso ribadisce spesso, Freud ha dimostrato che l’Io è un pilota illusorio, perché a comandare, in realtà, è sempre l’inconscio irrazionale, mentre l’Io cosciente, razionalizzando a posteriori le cause pulsionali dell’inconscio, fa finta di comandare, di decidere, di scegliere e di agire razionalmente. Im poche parole l’Io è un pallone gonfiato e, insieme, un pallonaro. Non facciamo che raccontarci storie, cioè interpretazioni soggettive della realtà, in cui abbiamo ragione. Non facciamo che raccontarci bugie e crederci pure. Questo sembra essere l’unico modo per darci un senso, per sentirci importanti, speciali, e quindi per non impazzire di fronte alla coscienza della nostra irrilevanza cosmica e del nostro destino mortale. Essendo dunque l’Io solo una costruzione psichica, un mero mediatore che si traveste da re, essendo in definitiva una menzogna, desidera senza sosta il riconoscimento degli altri Io, per poter continuare ad illudersi di essere “vero”, perché soltanto altre bugie possono essere in grado di confermare una menzogna. La lettera che mi ha portato a scriverle è quella di Katia Bernuzzi (n.2061) che diceva: “Mi pare che il mercato comprenda prima e meglio di molte altre istituzioni certi tipi di funzionamento (inconscio)”. Certo! Perché tutto quello che studia e scopre la psicologia dove finisce se non nel marketing? Quindi, il mercato sa bene che per indurre il consumatore ad acquisti inutili deve parlare il linguaggio simbolico dell’inconscio, deve riferirsi a chi comanda davvero l’Io, e cioè al lato pulsionale ed emotivo, non a quello cosciente e razionale. A ragione arriva sempre dopo, la si ricostruisce sempre a posteriori, con comodo. 
Claudio Baldi  claudio.baldi-02@outlook.it

Le Cose Che lei sostiene trovano conferma nel pensiero di Freud il quale afferma che: “l’Io è sollecitato da un inconscio pulsionale che lavora per l’economia della specie, fornendo ai singoli individui la sessualità per la procreazione e l’aggressività per la difesa della prole. Dopo di che la specie destina i singoli individui alla morte, perché la sua vita dipende dal ricambio generazionale. Di fronte a questa crudeltà innocente della specie, o se si preferisce, della natura. Jean Paul Sartre scrive che, di fronte alla morte: “E’ la stessa cosa aver guidato popoli o essersi ubriacati di solitudine”. Ma oltre all’inconscio pulsionale, l’Io è condizionato anche da un inconscio sociale, che lo obbliga a tenere a freno le sollecitazioni pulsionali per garantire una convivenza sociale, la quale è possibile solo con un controllo generalizzato delle pulsioni sessuali e aggressive. Per questo, scrive Freud, l’Io, oltre a non essere padrone in casa propria è anche: “un precipitato di difese”. Naturalmente queste difese limitano la nostra felicità, che per Freud consiste nella piena esplicazione delle pulsioni. E a questo proposito scrive: Di fatto l’uomo primordiale stava meglio perché ignorava qualsiasi restrizione pulsionale. In compenso la sua sicurezza di godere a lungo di tale felicità era molto esigua. L’uomo civile ha barattato una parte della sua possibilità di felicità per un po' di sicurezza”. Barcamenandosi tra contenimento dell’inconscio pulsionale e le richieste dell’inconscio sociale, all’Io resta poco spazio espressivo nella totalità psichica dominata dai due inconsci, e soprattutto poca libertà stante il loro carattere cogente. Eppure noi enfatizziamo il nostro Io e, rimuoviamo il fatto di essere dei semplici funzionari della specie, viviamo a partire dai nostri progetti, dalle mete che vogliamo raggiungere, dai nostri ideali, dai nostri sogni, probabilmente, come dice lei, per distrarsi dal pensiero della morte. Anche se Freud ci dice che se pure la nostra mente “sa” che dobbiamo morire, la nostra psiche non “sente” la propria morte, come testimonia quel paziente che in analisi comunica al dott. Freud: “Con mia moglie ho fatto un patto: chi di noi due muore prima, io vado a Parigi”. Se durante la vita interiorizzassimo l’inevitabilità della nostra morte, condurremmo un’esistenza che non si affanna spasmodicamente nell’accumulare denaro o nell’acquisire potere. E quando giunge la nostra ora non avremmo il carico di angoscia tipico di chi non ha mai pensato alla propria morte. Perché in quel momento ciò di cui davvero ci si angoscia non è tanto l’addio al nostro Io, del quale, nella nostra vita, dopo averlo tanto enfatizzato, ci siamo anche innamorati.

umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di La Repubblica – 13 gennaio 2018 

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