Da anni Angela Merkel era considerata come una ferma espressione della democrazia liberale
europea. Quando, nel 2015, aprì le braccia ai migranti assiepati ai confini
offrì l’immagine di una Germania sensibile ai valori umanitari, nei quali il
Paese non si era sempre distinto nel secolo scorso. Con l’ingresso alla Casa
Bianca di Donald Trump è stata consacrata leader del mondo libero. Lo stesso
Barack Obama nel lasciare la presidenza degli Stati Uniti fece una visita a
Berlino per congedarsi da Angela Merkel. E il gesto fu interpretato come un
simbolico passaggio di responsabilità alla cancelliera in quanto il più
rappresentativo personaggio politico, in quel momento, della democrazia
occidentale. Trump non ispirava più la fiducia riposta nel presidente degli
Stati Uniti. Da allora la figura di Angela Merkel si
è come appannata. Non domina più la ribalta politica europea. Sembra che
abbia smarrito persino il partner francese, con il quale formava la coppia
più influente dell’Ue. Le ultime elezioni federali hanno ridotto la sua
maggioranza, e il fallimento delle lunghe spossanti trattative per formare un
governo, con i liberali in sostituzione dei socialdemocratici, hanno
ridimensionato il suo carisma. Non solo è dovuta ritornare alla coalizione
con la Spd, anch’essa spolpata di voti, ma è stata investita dalle polemiche,
nel frattempo “esplose”, provocate dalla sua generosità nei confronti dei
migranti. La collera, la senofobia, la diffidenza sollevate
dall’ondata di profughi, e il rancore verso chi l’ha favorita o accettata,
hanno stimolato la crescita dei partiti populisti e dell’estrema destra. La
reazione negativa all’accoglienza si è rivelata trasversale. Si è manifestata
e si manifesta anche nei partiti conservatori democratici. Nella stessa
coalizione di governo, in particolare nella Csu, l’Unione cristiano sociale
bavarese, sorella della Cdu, l’Unione cristiano democratica della
cancelliera. Fino a mettere in pericolo la stessa stabilità dell’esecutivo da
lei guidato. L’ungherese Victor Orbàn, promotore di una
democrazia illiberale, non è certamente un suo politico preferito, e non lo
nasconde. Ma le è indispensabile per conservare, con il Partito popolare, la
maggioranza nel Parlamento europeo, del quale il leader ungherese fa parte, a
fianco della Cdu-Csu. Manfred Weber, della Csu, candidato alla successione
del Lussemburghese Jean-Claude Junker come presidente della Commissione a
Bruxelles, è, forse per opportunismo, un ammiratore di Orbàn.”. E non gli ha
risparmiato elogi. Un altro esponente di rilievo dell’Unione cristiano
sociale bavarese, il ministro federale dell’Interno Horst Seehofer, è sulle
stesse posizioni, ma in una versione più radicale sul problema delle
migrazioni. Per non perdere per strada ministri del suo governo e gli alleati
bavaresi, Angela Merkel si è dovuta e si deve destreggiare, quindi adeguarsi
spesso a una politica che non corrisponde del tutto a quelli che sembravano
per lei principi irrinunciabili. In Baviera le elezioni regionali sono alle
porte. Sono in programma a metà ottobre, e la Csu rischia di perdere la
posizione dominante che occupa da decenni. Alla sua destra potrebbe
affermarsi per la prima volta un partito, l’Alternanza per la Germania, che
ha già novantadue seggi al Bundestag. I sondaggi più recenti non hanno
tuttavia confermato quella che era un’idea assai diffusa, e cioè che il
sentimento anti-immigrazione avrebbe determinato il risultato. Molti si sono
allora adeguati ai pronostici. Al Parlamento europeo, dove si votava la
mozione contro la condotta antidemocratica in Ungheria, si è visto il
sostenitore di Orbàn, Manfred Weber, esprimersi in favore, vale a dire
censurare colui che, fino alla vigilia, indicava come un esempio da seguire.
Schierarsi con Orbàn non era elettoralmente opportuno. Una svolta, probabilmente,
passeggera. Molti moderati navigano nell’incertezza, si contraddicono per
adeguarsi all’irruzione del populismo e del nazionalismo, versione estrema
destra, che ha messo sottosopra il panorama politico. Angela Merkel cerca di
sfuggire alla regola, ma deve salvare il suo governo. A volte l’Europa ha l’impressione
di avere smarrito il più affidabile dei suoi leader.
Bernardo Valli – Dentro E Fuori – L’Espresso – 30 settembre 2018 -
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