giovedì 12 novembre 2015

Lo Sapevate Che: La difesa delle migliori tradizioni passa per due fette di salame...



“Quando ti diranno che sono alla fine, che ormai non c’è più niente da fare, tu portami due fette di salame di Parma, anche solo da annusare e vedrai che mi riprende”. Così, da una vita, mi dice mia madre quando pensa a come prevenire il peggio. Il fatto che mia madre sia di Parma le ha geneticamente offerto l’estrema soluzione su un tagliere d’argento. Un po’ per campanile un po’ per  gusto, la sola immagine di una fetta di salame Felino a pochi centimetri dalle sue narici l’ha sempre fatta sentire meglio. Mia zia Luisella, sua sorella, ogni volta che scende a Roma porta salami in dono. Li ha portati a mia madre anche quando i miei hanno vissuto a Parigi, e mia madre, per portarli a Roma, era costretta a mostrarli alla perplessa dogana. Fin da piccola, l’idea di avere un salame di Parma “mio” in frigorifero, mi ha sempre fatto pensare di avere disposizione la migliore scorta per ogni tipo di sopravvivenza. Quando da bambino andavo in settimana bianca con i miei a Ovindoli, la cosa che più mi inorgogliva era scendere a comprare personalmente la lonza dal salumiere che ci affittava la casa. Mi appassiona il dibattito linguistico su cosa sia lonza e cosa coppa, e come la parola “coppa” cambi di senso a seconda della latitudine. Agli scrutatori ai seggi portavamo energici panini con la mortadella, o “mortazza”, utili a svolgere al meglio la missione politica nell’imminente spoglio . L’unica costante rassicurante delle feste dell’Unità e di ogni evento di strada e di popolo in generale, è il fumo delle salsicce sulla brace. Se penso a un piatto di pasta penso gricia o carbonara. Quando ormai diciottenne andai ospite di un amico vegetariano che mangiava wurstel di soia aventi forma e sapere di wurstel, mi intristii molto per lui. A prescindere da ogni estetica dell’appiattimento, c’è stato un tempo in cui le forbici alle estremità solo per il piacere di vederli aprirsi una volta in cottura. Insomma, per farla breve e insaccare gli infiniti aneddoti, a casa mia il maiale e tutti i suoi infiniti derivati sono sempre stati sinonimo di vit. Stamattina ho chiesto a mia figlia se avesse mangiato carne rossa il giorno prima. Mi ha risposto “ieri no, forse tacchino, ma io senza hamburger non so stare”. Rinfrancato dalla risposta le ho detto “brava bambina mia, sta tranquilla”. Poi ho pensato che l’hamburger non ha mai davvero fatto parte del nostro lessico famigliare e che è proprio vero che i costumi dei giovani rischiano di perdere le radici dei vecchi. A noi, e non all’Oms, il compito di salvare le migliori tradizioni di famiglia.
Diego Bianchi – Il Sogno di Zoro – Il Venerdì di Repubblica – 6 novembre 2015

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