|
|
|
|
ROMA -
Una rivoluzione lo è, senza dubbio. Si archiviano trent'anni di storia, è
la revisione di una grande illusione, l'università automaticamente aperta a
tutti. È il pentitismo della sinistra di governo, anno 1999, rispetto ai
sogni del '68. È il superamento di una legge, la 910 del 1969, detta la
"Codignola", che portava le firme di Rumor, Ferrari Aggradi e
Colombo, centro- sinistra di governo all'epoca. Il nuovo regolamento per
l'iscrizione agli atenei, voluto dal ministro Ortensio Zecchino (col
contributo fondamentale del sottosegretario Luciano Guerzoni, ds),
stabilisce un filtro d'ingresso. Non tutti gli studenti, domani, potranno
iscriversi a qualunque facoltà. Il via libera, senza ostacoli, ci sarà solo
per orientamenti omogenei. Altrimenti, servirà un esame di ammissione. Per
spiegarsi: chi viene dal liceo classico e vuol fare ingegneria dovrà
programmarlo già alle superiori, con anticipo e con la scelta di pacchetti
di lezioni ad hoc, di stampo scientifico, approfittando della flessibilità
dei piani di studio previsti dalla riforma. Così maturerà un curriculum che
varrà come passaporto per l'università. Se non lo farà, dovrà prepararsi
dopo il diploma con corsi propedeutici e sostenere un esame. Il geometra
potrà iscriversi ugualmente a Medicina o Giurisprudenza, ma a certe
condizioni.
Il diploma, insomma, guiderà la scelta universitaria. Chi devia dal
percorso iniziato a 14 anni, incontrerà una diga da superare. Saranno gli
atenei, in piena autonomia, a stabilire le prove d' accesso. Addio
Sessantotto? Trent' anni fa, solo chi veniva dai licei poteva laurearsi,
dagli istituti tecnici si usciva per il mercato del lavoro. La ventata
libertaria spazzò via quel muro. La rivoluzione di oggi, sostiene il
ministro Zecchino, non vuole discriminare ma arginare l'altissima
"mortalità" universitaria italiana (record d'Europa).
Sessantacinque studenti su cento lasciano senza terminare.
"Era ora - rileva il professor Nicola Tranfaglia, preside di Lettere a
Torino - L'università aperta è stata un bluff. La liberalizzazione del '69
rispose superficialmente alle aspirazioni democratiche studentesche. Il
governo di allora, centro-sinistra, si arrese al cambiamento necessario.
Aprì l'università a tutti, ma non affrontò l'autoritarismo delle lobby
accademiche. Fece un colpo a effetto, ma lasciò il resto com'era. E com'è
tutt'oggi". Tranfaglia ricorda che chi si laurea in tempo è una quota
irrisoria e a Lettere chi ce la fa per il 90 per cento viene dal classico.
"Una finta libertà, dunque. È stata più coraggiosa la Francia
gollista. Che iniziò per tempo a orientare gli studi".
Osserva il sottosegretario Luciano Guerzoni, gran regista del nuovo
regolamento: "Però non è la fine del '68. Ricordiamoci che la legge
910 fissava un regime transitorio. Durato trent'anni. Diceva: "In
attesa dell'autonomia universitaria, liberalizziamo le iscrizioni...".
È la fine di una grande vergogna. Gli studenti ci attaccheranno, lo so. E
sono di sinistra, come questo governo...Ma la sinistra deve una buona volta
abbandonare veti ideologici. Per chiarire che discriminazione, caso mai,
c'è stata finora nonostante il '68: trent' anni fa gli iscritti erano 250
mila, oggi quasi due milioni. Ma chi si laurea al solito viene da famiglie
di ceto medio-alto. Oggi come allora, i figli di benestanti sono quattro
volte quelli di lavoratori dipendenti".
https://www.repubblica.it/online/scuola/universit_/garbesi/garbesi.html
|
|
|
Nessun commento:
Posta un commento