Liceo e museo per produrre mitologia
urbana e sentimento di appartenenza civica. Sembra un’utopia in un Paese come
il nostro, dove liceo e museo sono due mondi egualmente lontani dalla realtà ma
soprattutto dall'immaginario dei ragazzi. E invece la sinergia è possibile
oltre che auspicabile. Ne ho avuto la
dimostrazione tangibile nei giorni scorsi al Chicago History Museum, nelle cui
sale passano legioni di scolari in gita. Che entrano in contatto in maniera
easy ma non banale con la storia e la cultura della loro città. Anzi con le
culture, rigorosamente al plurale. Perché accanto alle glorie patriottiche,
alle celebrità letterarie, ai protagonisti dell’economia e del lavoro, gli
alunni imparano a collocare al posto che gli spetta i patrimoni popolari,
quelli che da noi sono esclusi dai piani alti del sapere. Invece la musica nera
viene considerata una delle massime espressioni identitarie della metropoli
dell’Illinois, la città di Obama. Dove il blues, la grande madre di tutte le
tendenze musicali del Novecento, rappresenta heart and soul, il cuore e l’anima di tutti i chicagoans, qualunque sia la loro alfabetizzazione ed estrazione
sociale. È bellissimo vedere le classi arrivare in un piccolo auditorium dove
ciascuno può salire sul palco e unire la sua voce a quella di Muddy Waters o di
B.B. King. Di Mary Lane o di Koko Taylor. E intonare insieme a loro il
ritornello di Sweer home Chicago. O
incidere il proprio riff di chitarra in un piccolo studio di registrazione.
Vedere una classe multietnica steccare teneramente i motivi dei Blues Brothers
fa capire improvvisamente perché in inglese play
significa suonare ma anche giocare. E entrambi significano educare.
Marino Niola – Miti d’Oggi –
Venerdì di La Repubblica – 16 novembre 2018 -
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