Un giorno alla radio, durante un dibattito dedicato
agli ultraottantenni sulle ricette per vivere bene e a lungo, ha chiamato una
signora. “Mi chiamo Leda”, ha detto, “vengo da Rieti, ho compiuto 80 anni la
scorsa settimana e sono felice. La sua voce emanava una gioia piena e sfrenata.
“Non mi sono mai sposata e questo di certo ha reso tutto più semplice”. Ha
scelto di non avere figli. “Quando avevo un dubbio, mi bastava fare una chiacchierata
con le mie amiche madri per farlo andare via”, ha riso. Ha viaggiato in 38 paesi
del mondo. Per lavoro? “Certo che no! Per puro piacere”. Il segreto per un’esistenza
lunga e bella? “Godersi quello che si ha e, se c’è qualche soldo, spenderlo”.
Infine ha salutato regalando un’ultima, sublime perla: “Io vivo alla giornata,
come Rambo”. Ho ripensato spesso a Leda, i giorni successivi. Chi è? Una
signora anziana, certo, perché l’anagrafe, nel suo modo implacabile, è un registro
esatto che consente definizioni puntuali. Leda però, è anche uno spirito lieve,
uno childfree, una single, un’amica,
una viaggiatrice, Rambo. L’identità del nostro prossimo è un caleidoscopio che
andrebbe ruotato più spesso per apprezzarne la varietà di forme e colori. L’economista
marxista è anche mio marito e il padre dei miei figli. Per metà del suo tempo
sta a Londra dove lavora. Quella che lui chiama casa lassù, l’ho visitata una
volta sola alcuni anni fa. Per rispetto, fiducia e pigrizia ignoro chi
frequenti e come impieghi il suo tempo libero quando è là. Per esorcizzare i
fantasmi della distanza, ho inventato per lui Janet, una moglie inglese, di
certo sguaiata, bevitrice di birra e divoratrice di patatine gusto aglio e
aceto. Durante i vent’anni di pendolarismo tra Italia e Inghilterra è probabile
che, parallelamente a quello che accadeva qui, anche lì la famiglia sia
cresciuta. Pertanto, oltre a una consorte, nel quadretto che rappresenta la
declinazione britannica dell’uomo della mia vita ho disegnato anche una discendenza:
per nemesi l’ho immaginata esclusivamente al femminile, incarnata da tre
graziose bambine bionde e slavate come la loro madre. Ho duplicato l0identità
di mio marito per poter ridere delle mie paure, consapevole che il mio sguardo
non sarà mai in grado di abbracciarlo per intero perché ognuno ha troppi sé per
conoscerli tutti. È quello che ci rende creature poliformi e interessanti. La
molteplicità è il nostro lato migliore. Chi sono io? Per i miei figli la mamma
e poco altro, e va bene così. Ma sono anche una figlia, una sorella, una
cugina, una vicina di casa, una che scrive, una che parla alla radio con Leda,
una divoratrice compulsiva di cioccolata, un’avida ascoltatrice di audiolibri,
una ciclista ma anche un’automobilista, una donna, una cliente del banco della
frutta del mercato rionale, una frequentatrice della sgarrupata palestra di
zona, la titolare delle utenze domestiche e di varie carte fedeltà, una
lavoratrice autonoma, una tizia, come molte, che si sente inadeguata e in colpa
per motivi non sempre fondati, qualcos’altro ancora negli occhi altrui. Sara
era la mia nonna, area, ebrea, comunista, candida e rivoluzionaria nel suo
amore per i libri e per la libertà che le regalavano. Quando morì, in casa sua
trovai dei biglietti su cui aveva scritto dei pensieri con la sua grafia nitida
e rotonda. Diceva che era stanca, che era triste e che l’angoscia le toglieva
il fiato. Metteva nero su bianco una se stessa che teneva nascosta dietro il
suo sorriso da bambina. Nell’osservare il prossimo ci fidiamo del nostro
sguardo miope ed egocentrico e dell’anagrafe: misure inadeguate, incapaci di
rendere giustizia all’infinitezza altrui.
Claudia de Lillo – Opinioni – Donna di La Repubblica - 8
settembre 2018 -
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