Il silenzio, nelle nostre vite, subisce un assalto costante:
notizie, clacson assordanti, smartphone che vibrano e cinguettano, sirene
spiegate, (..), musica da ascensore ottundente e schermi inseriti in ogni
spazio possibile. Siamo costantemente collegati, accesi, alimentati, e sempre
più terrorizzati dal silenzio, perché inconsapevoli di quello che può offrire.
Anneghiamo le domande della vita nei frammenti sonori di un universo a 500
canali che non trasmettono mai niente. (..). “Interroga la tua anima!” esorta
il poeta e romanziere tedesco Hemann Hesse nell’opera Il mio credo. “Interroga
e il futuro acquisterà un senso, l’amore una voce. Non interrogare la tua
intelligenza, non perlustrare la storia del mondo all’inverso! La tua anima non
ti accuserà di esserti interessato poco di politica, di aver lavorato troppo
poco, di non aver odiato abbastanza i nemici, di non aver protetto a
sufficienza i confini. Ma forse ti accuserà di aver avuto troppo spesso paura,
di aver scantonato di fronte alle sue sollecitazioni, e di non aver mai avuto
tempo per dedicarti a lei, la più giovane e ammirevole delle tue creature, per
ascoltare il suo canto; ti accuserà di averla venduta per denaro, tradita per
qualche vantaggio. (..). Tradizionalmente, le vacanze erano intese come momento
per ricaricarsi, nello spirito come nel corpo, consentendoci di rallentare e
attingere nuovamente alla nostra innata ma repressa capacitò di stupirci, oltre
che di riconoscere la grandezza e l’abbondanza delle nostre vite. Ricordo una
vacanza del genere, quando le mie figlie erano ancora piccole, in un piccolo
villaggio sull’isola di Rodi. Coincidenza volle che, quella stessa settimana,
la rivista Time avesse pubblicato una storia di copertina sugli effetti
terapeutici della fede. Gli abitanti del villaggio in cui risiedevamo avrebbero
riso al pensiero che servissero esperimenti scientifici, con tanto di gruppi di
controllo, per dimostrare il potere del silenzio, della contemplazione, della
preghiera. E di Dio. Da ogni parte della Grecia, le donne venivano per salire
su una montagna nei pressi del villaggio, raggiungere il piccolo monastero di
Tsambika e pregare la vergine Maria, chiedendo un figlio, la salute, il lavoro.
Gli abitanti del villaggio erano in grado di raccontare un’infinità di aneddoti
sui miracoli che aveva fatto. La naturalezza con cui quelle persone parlavano
di miracoli lavava via le scorie della vita quotidiana. Riuscivo a
immedesimarmi in loro totalmente. Credo di aver avuto tre anni quando, senza
alcun invito da parte dei miei genitori, mi inginocchiai acanto al mio letto a
pregare la vergine Maria. La pregavo ogni volta che mi sentivo sola e
impaurita. Quando scoppiavano liti nel cortile della scuola, quando mia sorella
si ammalò, quando mio padre se ne andò di casa e una sera non tornò, io pregavo
lei. Continuai a farlo anche quando a tredici anni cominciai a meditare. Che mi
trovassi in India a studiare religioni comparate, che stessi imparando la
meditazione buddista o esplorando la cabala, continuavo a tornare da lei. Era
una figura materna, una guida. L’incarnazione dell’amore incondizionato. “Che
cos’è il successo? E’ potersi coricare ogni sera con l’anima in pace” scrive
Paulo Coelho.
(traduzione
di Matteo Colombo) – Arianna Huffingon – Donna di Repubblica – 18 luglio 2015
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