Quando il 22 febbraio spegnerà la prima candelina, Matteo
Renzi farebbe bene a tenere a mente le graffianti parole del linguista
americano Noam Chomsky: “Il ruolo del Parlamento è di approvare senza chiedere
troppe spiegazioni”. E se è vero che la rivoluzione non è un pranzo di gala,
chi pretende di cambiare verso all’Italia dovrebbe almeno cercare di
distinguersi in meglio dei predecessori. Analizzando il dossier realizzato
dall’associazione OpenPolis sul primo anno di governo, a saltare agli occhi è
proprio l’abuso del voto di fiducia : ben 30 su 67 leggi approvate, quasi il 45
per cento. In media uno ogni dodici giorni, compresi i fine settimana, la pausa
estiva e le vacanze di Natale. E se si escludono le ratifiche dei trattati internazionali,
che sono un mero atto formale, la percentuale sale fino al 68 per cento. Un
rapporto che fa impallidire perfino chi, come Silvio Berlusconi, fu tacciato di
autoritarismo per averlo utilizzato in proporzione molto meno. A eccezione di
Mario Monti, che arrivò a quota 51 ma si trovò a fronteggiare una situazione
eccezione di emergenza, nessuno nell’ultimo ventennio l’ha utilizzata in misura
così massiccia. Nemmeno il Prodi II, alle prese con una maggioranza così
ballerina da dover far affidamento sui senatori a vita. Il governo Renzi l’ha
chiesta ben 16 volte a Montecitorio, dove dispone di un’amplissima maggioranza.
A conferma del fatto che, oltre alle ragioni del “fare presto”. resta uno
strumento per superare le divisioni nella maggioranza e. sempre più spesso,
nello stesso Pd. (..). Ma c’è anche un altro indicatore che conferma una
sostanziale “disinvoltura” nei confronti delle Camere: il sindacato ispettivo,
con cui deputati e senatori controllano l’attività del governo. Solo
un’interrogazione parlamentare su quattro in media ottiene risposta contro il
30 per cento di Monti e il 40 per cento di Berlusconi e Letta. Spicca per
negligenza il cruciale ministero dell’Economia, con appena il 4,1 per cento: il
doppio rispetto a quando in via XX Settembre c’era Fabrizio Saccomanni ma
cinque volte meno rispetto ai tempi di Vittorio Grilli e addirittura sette in
confronto a quelli di Giulio Tremonti. Non brillano neppure la Giustizia (4,6),
i Beni culturali (8,6) e l’Ambiente (9 per cento). Fino al paradosso di
Viminale, Trasporti e Salute, che hanno tassi di risposta assai inferiori
all’era di Enrico Letta nonostante, allora come adesso, alla guida dei
dicasteri siedano le stesse persone: Angelino Alfano, Maurizio Lupi e Beatrice
Lorenzin. Che il turbo-renziano provochi il lassismo dei ministri Ncd?
Paolo
Fantauzzi – Attualità – L’Espresso – 19 febbraio 2015
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